Mi chiamo Aqsa Hussain. Vengo dal Pakistan, il quinto stato più popoloso di tutto il mondo.

Sono nata nella città di Peshawar, che tutti chiamano la “città dei fiori”, ma non sempre la bellezza dei fiori la puoi qui vedere tra la gente. Essere una donna in Pakistan è davvero difficile. Avere riconosciuta la tua libertà è impossibile. Io sono sempre stata un po’ ribelle e a soli dieci anni ho iniziato a fare boxe e judo.

In Pakistan nessuno accetta che le donne partecipino a questi sport, ma io ho continuato a giocare come un ragazzo. Ho fatto molte lotte e tanti allenamenti.

Mio papà mi ha aiutata tanto e sono diventata la campionessa della nostra regione.  Ero la prima ragazza che ha iniziato a fare boxe nella nostra città e tutti i media e i giornali locali hanno iniziato a raccontare di me e del mio talento.

Pensate a quante persone erano contrarie? Ero molto spaventata perché da lì a poco io e la mia famiglia abbiamo ricevuto minacce di arresto e addirittura di morte se non avessi smesso. Ma io non mi sarei mai arresa perché, anche se questo mi preoccupava, volevo diventare campionessa mondiale. Volevo giocare per la bandiera del mio Paese a livello mondiale e questo sarebbe stato il mio orgoglio più grande.

Se da un lato ero felice e ambiziosa, dall’altro le minacce continue mettevano comunque paura. Continuavo a chiedermi “Ma perché sono nata donna?”, “Perché non sono un ragazzo?” Un giorno papà mi ha fermata e mi ha detto: “Qualunque cosa accada, tu sei molto forte e non perderemo la nostra speranza. Continueremo la nostra lotta e speriamo che un giorno avremo la possibilità di mostrare il tuo talento”.

Dopo tanti anni, con allenamenti e tanta pazienza, finalmente ho avuto la possibilità di uscire dal mio Paese. Ricordo che qualcuno ha detto a papà che, in cambio di soldi, avrebbero cercato di ottenere il visto e mi avrebbero accompagnata ai campionati di boxe in Germania.

Immaginate quanto potevo essere felice? Beh, in quel momento papà, nonostante la povertà che vivevamo, ha venduto tante cose e sono partita verso l’Europa.

Pensavo che il giorno più bello della mia vita fosse arrivato ma la cosa più straziante è stata che ci hanno imbrogliati: non c’erano campionati! 

Hanno fatto tutte le cose finte e io ho pianto molto, ma i miei pensieri andavano alla mia famiglia, che aveva lottato tanto per me. Non dovevo arrendermi.

Ho quindi deciso di correre il rischio e sono stata alcune notti lì senza aiuto. Poi alcune persone mi hanno suggerito di andare in Italia, dicendomi che lì sarei stata meglio e subito mi hanno indicato un bus da prendere dalla Germania. Arrivata qui sono stata prima in un campo per rifugiati a Orte e ho subito dopo iniziato a studiare la lingua italiana.

Pian piano, raccontando la mia storia, sono stata accettata un club di boxe in Italia. Il mio sogno si stava realizzando. Con la speranza, la lotta e il sostegno della famiglia puoi ottenere tutto ciò che desideri, non importa se sei una ragazza o un ragazzo.

L’Italia mi ha dato poi i documenti e sono stata trasferita in un altro campo a Monterotondo,a  Roma. Qui ho iniziato a lavorare e mi son sentita accolta come in una famiglia. In particolare, due persone mi hanno aiutato tantissimo: il mio insegnante Franco e la mia insegnante Silvia, una mamma per me.

Qui in Italia ho sposato Sami, un ragazzo di grande talento che è venuto per giocare nella squadra di hockey della Roma. Nel 2022 è nato il nostro bambino  iLhan e oggi sto vivendo la vita migliore che ogni donna desidera.

Non appena il mio bambino sarà in grado di stare da solo, ricomincerò a fare boxe e realizzerò i miei sogni. Gli racconterò che sognare ti aiuta e che ogni ragazza che vuole fare qualcosa può avere un sostegno importante, come quello che ho ricevuto io dal mio papà in Pakistan e dalla mia nuova famiglia in Italia.

Essere una donna in Pakistan è davvero difficile. 

Aqsa

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