La storia di Pap

Mi chiamo Pap Khouma e sono un giornalista. Vivo in Italia dal 1984 e sono nato a Dakar, in Senegal. Quando ero piccolo Dakar era una città molto verde e noi bambini giocavamo tanto all’aria aperta. Di nascosto dai nostri genitori andavamo anche al mare. Quando ci scoprivano si arrabbiavano molto perché l’Oceano Atlantico, il mare intorno a Dakar, è molto mosso e pericoloso. Anche se in Senegal ci sono tanti dialetti le scuole erano tutte in francese. Per noi bambini era un po’ faticoso perché a scuola dovevamo parlare, scrivere e leggere in francese mentre a casa i nostri genitori ci parlavano nelle lingue locali. Era come vivere sempre due realtà diverse. Anche se poi da grande ho capito quanto fosse importante sapere tante lingue. Alla fine del liceo non ho potuto frequentare l’Università perché in Senegal le scuole universitarie sono a pagamento e la mia famiglia non poteva permettersi di farmi studiare. Questa situazione mi ha molto colpito e forse è stata alla base delle mie scelte di vita. Ho deciso infatti di lasciare il mio Paese. All’inizio sono rimasto in Africa e sono andato da alcuni cugini in Costa d’Avorio. Loro avevano un piccolo commercio di avorio, che ai tempi era molto richiesto e anche molto redditizio. Io ero contento di lavorare per loro: guadagnavo bene e potevo fare una bella vita con gli amici ed uscire la sera.  Insomma mi godevo la vita come molti ragazzi giovani della mia età. Ad un certo punto però a causa delle continue febbri malariche che mi colpivano sono stato costretto a tornare in Senegal. All’inizio ero contento, ma poi è emersa di nuovo in me la voglia di andare a cercare fortuna in un altro paese. Pensavo di andare in Belgio, dove stavano cercando delle persone da formare all’attività di programmatore informatico che  all’epoca stava muovendo i primi passi.  Poi però ho deciso di venire in Italia. In quegli anni non era richiesto un visto per i senegalesi e quindi io sono potuto entrare come un turista, senza nessuna difficoltà o viaggi pericolosi. I primi mesi in Italia li ho passati nella zona di Rimini, al mare. C’erano tantissimi turisti e io guadagnavo vendendo degli elefantini di avorio vicino la spiaggia. Mi piaceva l’estate e tutte quelle persone in vacanza. Poi però è arrivato l’inverno e io non lavoravo più abbastanza così sono tornato di nuovo a casa. Avevo giurato a me stesso che sarei rimasto in Senegal con la mia famiglia, ma una volta rientrato mi sono reso conto che io ero cambiato e anche la mia città era cambiata nel frattempo. 

Mi sentivo un estraneo e tutti i miei amici si chiedevano perché fossi rientrato a casa e non fossi rimasto in Europa. Ho cercato di resistere per un po’, ma poi la voglia di tornare in Italia ha prevalso. L’Italia degli anni ottanta era un paese che stava vivendo un grande cambiamento. Insieme a tanti altri amici immigrati, ad attivisti ed associazioni della chiesa abbiamo lottato per i diritti degli immigrati, perché potessero avere una vita dignitosa e soprattutto i documenti per poter vivere legalmente nel nostro Paese. Leggevo tanto. Mi piaceva e mi serviva per imparare bene la lingua, che è una cosa fondamentale per integrarsi in un nuovo paese e conoscerlo bene.  Nel 1989 in Italia venne ucciso un rifugiato sudafricano che era venuto in Italia per scapare dal Regime dell’apartheid ma che non venne accolto. La sua morte provocò una serie di proteste contro il governo che non lo aveva protetto e molte manifestazioni per rivendicare i diritti dei lavoratori stranieri e denunciare lo sfruttamento a cui spesso erano sottoposti.  Un giornale italiano mi chiese di fare un reportage sulla condizione dei lavoratori stranieri presenti in varie zone d’Italia. All’epoca non esisteva internet e il mondo della comunicazione era molto diverso. Tante cose non si sapevano e questa fu un’occasione moto importante, sia per me personalmente che per raccontare quello che stava succedendo in Italia e che molte persone ancora non sapevano. Da lì ho deciso che mi sarei impegnato per far si che l’Italia diventasse un paese capace di accogliere gli stranieri e che avrei aiutato tante persone come me ad imparare le leggi, i costumi e le abitudini di vita in Italia. Nel 1990 ho scritto anche un libro dove ho raccontato la mia esperienza di vita. Oggi dirigo una rivista che si occupa di letteratura migrante. Sono sposato con una donna italiana e ho due figli. La mia casa ora è a Milano, anche se amo molto tornare in Senegal per le vacanze. Purtroppo il razzismo è un fenomeno molto diffuso in Italia, ma anche in altri paesi europei. C’è sempre stato, anche se le cose sono migliorate rispetto al passato. Quello che però è molto grave è che certi comportamenti razzisti siano adottati da chi ci governa. Loro dovrebbero dare il buon esempio e fare di tutto per far sì che le persone italiane e straniere possano essere parte di una sola comunità che cresce e diventa più forte e solidale.

Un giornale italiano mi chiede di fare un reportage sulla condizione dei lavoratori stranieri presenti in varie zone d’Italia. Un giornale italiano mi chiede di fare un reportage sulla condizione dei lavoratori stranieri presenti in varie zone d’Italia.

Pap

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