La MOSTRA
Illustrazioni di Elisa Pacitti
Le immagini raccontano storie. E in questa mostra, le illustrazioni di Elisa Pacitti danno forma e colore alle vite di sei donne straordinarie che hanno lottato contro il razzismo e le ingiustizie: Rosa Parks, Angela Davis, Wangari Maathai, Marielle Franco, Malala Yousafzai e Nadia Murad.
Attraverso il suo tratto delicato e potente, Elisa Pacitti trasforma la narrazione in arte, restituendo al pubblico immagini vibranti che evocano coraggio, resistenza e cambiamento. La mostra è parte del progetto “Culture Against Racism – Donne che Cambiano il Mondo”, un’iniziativa che celebra il ruolo della cultura come strumento di trasformazione sociale e di lotta alle discriminazioni.
L’esposizione invita lo spettatore a immergersi in un racconto visivo che non è solo memoria, ma anche un’esortazione all’azione. Ogni illustrazione è un tributo alla forza delle donne che hanno osato sfidare le ingiustizie, ispirando nuove generazioni a costruire un mondo più equo.
🔹 Il progetto ha ricevuto un finanziamento nazionale pubblico dall’UNAR – Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali nell’ambito delle attività della XXI Settimana di azione contro il razzismo.

Rosa Parks (Tuskegee, 4 febbraio 1913 – Detroit, 24 ottobre 2005)
Rosa Parks è riconosciuta come “madre del movimento per i diritti civili” negli Stati Uniti. Il 1° dicembre 1955, a Montgomery, Alabama, si rifiutò di cedere il posto sull’autobus a un passeggero bianco, violando le leggi di segregazione razziale (Jim Crow) che obbligavano le persone nere a cedere i posti ai bianchi se la sezione riservata a questi ultimi era piena.
Il suo gesto non fu spontaneo: Parks era un’attivista già impegnata nella lotta per i diritti (segretaria della sezione di Montgomery della NAACP) e aveva partecipato a training sulla resistenza non violenta.
Il suo arresto scatenò il boicottaggio degli autobus di Montgomery (1955-1956), organizzato da attivisti come E.D. Nixon e guidato pubblicamente da Martin Luther King Jr., allora giovane pastore.
La protesta, durata 381 giorni, portò alla sentenza della Corte Suprema che dichiarò incostituzionale la segregazione sui mezzi pubblici (1956).
Rosa Parks divenne un simbolo globale della lotta antirazzista, dimostrando come un atto di disobbedienza civile pacifico possa innescare un cambiamento epocale. La sua vita incarnò i valori della resistenza non violenta e della determinazione nella battaglia per i diritti umani, ispirando generazioni future.

Wangari Maathai (Ihithe, 1º aprile 1940 – Nairobi, 25 settembre 2011)
Prima donna africana a vincere il Premio Nobel per la Pace (2004), è stata una biologa, ambientalista e paladina dei diritti delle donne keniane. Il suo impegno unì ecologia, giustizia sociale e lotta politica, trasformandola in un simbolo globale di resistenza non violenta. Nel 1977 fondò il Green Belt Movement, organizzazione che coinvolse migliaia di donne rurali nella piantumazione di oltre 50 milioni di alberi per contrastare deforestazione, desertificazione e povertà. Questo progetto non fu solo ambientale: offrì alle donne risorse economiche, formazione e un ruolo attivo nella difesa della terra, sfidando un sistema patriarcale e corrotto. La sua battaglia si scontrò con il regime autoritario del presidente kenyano Daniel arap Moi, che la fece arrestare più volte per le proteste contro l’abbattimento di foreste e l’accaparramento di terreni pubblici da parte delle élite. Oltre al Nobel, fu la prima donna dell’Africa orientale a ottenere un dottorato (in biologia) e docente universitaria. La sua eredità vive nel motto “Siate come il colibrì: fate la vostra parte, per quanto piccola”, sintesi della sua filosofia di azione collettiva e speranza. Wangari Maathai dimostrò che la difesa della natura è inseparabile dalla giustizia sociale, lasciando un modello di attivismo intersezionale e resilienza.

Nadia Murad (Kocho, 10 marzo 1993) è un’attivista per i diritti umani e Premio Nobel per la Pace 2018. Appartiene al popolo yazida, una minoranza religiosa perseguitata dall’ISIS, gruppo terroristico che nel 2014 ha distrutto i suoi villaggi, uccidendo migliaia di persone e riducendo in schiavitù donne e bambini. Anche Nadia fu catturata e subì violenze per mesi, riuscendo a fuggire grazie all’aiuto di una famiglia coraggiosa. Decise di raccontare la sua storia al mondo, diventando la prima sopravvissuta yazida a denunciare pubblicamente i crimini dell’ISIS. Con la sua organizzazione Nadia’s Initiative, lavora per ricostruire i villaggi distrutti, garantire cure alle vittime e chiedere giustizia per il suo popolo. Grazie al suo impegno, nel 2021 l’ONU ha riconosciuto il genocidio yazida, un passo storico per fermare l’impunità. La sua vita insegna che il coraggio può nascere dal dolore: “Voglio che le vittime siano ascoltate, non dimenticate”, ha detto. Oggi è un simbolo di speranza per chi lotta contro l’ingiustizia, dimostrando che anche una sola persona può cambiare il mondo.-Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo.

Marielle Franco (Rio de Janeiro, 27 luglio 1979 – Rio de Janeiro, 14 marzo 2018) nata nella favela della Maré a Rio de Janeiro, è stata una sociologa, attivista e politica afrodiscendente simbolo della resistenza alle disuguaglianze razziali, di genere e di classe in Brasile. Apertamente bisessuale e madre single, rappresentò con fierezza le comunità LGBTQ+ e le donne delle periferie, lottando contro l’intersezione di razzismo, machismo e povertà. Eletta nel 2016 come consigliera comunale di Rio con il partito di sinistra PSOL, ottenne oltre 46.000 voti, diventando una delle voci più ascoltate contro le violenze della polizia e le milizie paramilitari che controllavano le favelas. Come presidente della Commissione per la Difesa delle Donne, promosse indagini su femminicidi e abusi delle forze dell’ordine, sfidando l’impunità sistemica. Il 14 marzo 2018, fu assassinata con quattro colpi alla testa in un agguato, mentre indagini successive rivelarono legami dei killer con gruppi criminali. La sua morte scatenò proteste globali sotto lo slogan “Marielle Presente!”, trasformandola in icona della lotta per i diritti umani. Sebbene alcuni esecutori siano stati arrestati, i mandanti restano ignoti. Marielle Franco incarna la resilienza delle donne nere contro oppressioni multiple, lasciando un’eredità viva nei movimenti per giustizia sociale, memoria e democrazia in America Latina.

Angela Davis (Angela Yvonne Davis Birmingham, Alabama, 1944) è riconosciuta come “icona globale delle lotte antirazziste, femministe e anticapitaliste”. Negli anni ’70, il suo ingiusto arresto per accuse di complicità in un attentato (poi rivelatesi infondate) scatenò un movimento internazionale per la sua liberazione, trasformandola in un simbolo della resistenza alle persecuzioni politiche. Davis aveva dedicato anni alla lotta contro razzismo, sessismo e sfruttamento economico, formandosi con filosofi come Herbert Marcuse e sviluppando teorie sulla giustizia abolizionista. Il caso giudiziario del 1970, legato al tentativo di liberare i detenuti politici “Soledad Brothers”, la portò nella lista dei ricercati FBI e attirò l’attenzione mondiale: la campagna “Free Angela”, sostenuta da milioni di persone e figure come John Lennon e Jean-Paul Sartre, culminò nella sua piena assoluzione nel 1972. Professoressa all’Università della California, scrisse opere fondamentali come “Donne, razza e classe” (1981), pietra miliare del femminismo intersezionale, e “Aboliamo le prigioni?” (2003), critica radicale del sistema carcerario. Angela ha dedicato la sua vita alla lotta contro ogni forma di oppressione, inclusi razzismo, sessismo e capitalismo. È una voce potente per la giustizia sociale e l’abolizione delle carceri, simbolo della resilienza di fronte alle ingiustizie.

Malala Yousafzai (Mingora, 12 luglio 1997) è un’attivista per il diritto all’istruzione e Premio Nobel per la Pace 2014 (è la più giovane vincitrice del Nobel). Fin da bambina, ha denunciato pubblicamente i Talebani, che in Pakistan vietavano alle ragazze di studiare. A soli 15 anni, nel 2012, sopravvisse a un attentato: un uomo le sparò sulla scuola bus per fermare le sue proteste. Dopo la guarigione, Malala ha fondato il Malala Fund, un’organizzazione che sostiene progetti educativi per milioni di ragazze in paesi come Nigeria, Siria e Afghanistan. Nel 2014, a soli 17 anni, è diventata la più giovane vincitrice del Nobel per il suo impegno a difendere il diritto di tutti i bambini a imparare. La sua storia insegna che nessuno è troppo piccolo per cambiare le cose: “Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo”, ha detto. Oggi Malala è un simbolo di coraggio e speranza, dimostrando che l’istruzione è un’arma potente contro l’ingiustizia.