Raccontaci la tua storia

In questo spazio potrai condividere una storia di integrazione riuscita che hai vissuto in prima persona o di cui sei testimone

Le vostre storie

Ciao a tutti voi di storiechecambianoilmondo,
mi chiamo Solomon e sono nato in Etiopia, Africa centro-occidentale. A 8 anni sono stato adottato da una famiglia italiana e attualmente vivo a Milano. Dei miei genitori naturali e di quel breve periodo vissuto in Etiopia ricordo poco. So che mio padre mori’ nella guerra tra Eritrea ed Etiopia che avvenne tra il 1998 e il 2000. Mia madre, non riuscendo a sfamare tutti i figli, aveva spesso attacchi di pazzia. Dopo un episodio drammatico in cui sono morti due mie fratellini, un nostro zio decise di portare me e altri 3 fratelli in un orfanotrofio ad Addis Abeba. Dopo due anni in orfanotrofio fummo adottati tutti e 4 da due famiglie italiane. Una era la mia, l’altra adotto’ gli altri due fratelli che ora vivono a Cesena.
Seppur tristi e drammatiche, le vicende e le modalita’ che mi hanno portato in Italia sono ben lontane da essere comparabili a quelle dei viaggi della speranza di cui si parla nel caso di migranti. Ma sopratutto, la mia permanenza in Italia e’ sicuramente un caso piu unico che raro. Sono infatti convinto che la mia in realta’ sia una storia al limite del fiabesco. Ad oggi sono 21 anni che sono in Italia, e se non fosse per il colore della pelle non direste mai che non sono italiano. Ho iniziato le elementari a 8 anni, 2 anni in iritardo, ma ho recuperato un anno facendo terza e quarta assieme. Ho studiato in un liceo scientifico perche’ volevo diventare ingegnere. Ho passato il test di ingegneria al Politecnico di Milano in quarta liceo perche’ ero trepidande dal desiderio di entrarci. Il percorso al Politecnico e’ stato liscio e molto piacevole tante’ che ho deciso di continuare a fare il dottorato dopo un anno di visiting in America. All’eta’ di 29 anni vivo a Milano in un mio appartamento, ho la mia macchina e tra 4 mesi finisco il dottorato in Ingegneria dell’Automazione con tesi sulla guida autonoma di macchine per le operazioni nei vigneti. Come vi dicevo, la mia storia e’ al limite del fiabesco…
Ho deciso di condividere questa storia perche’ durante tutti questi anni non mi sono quasi mai approcciato seriamente all’argomento razzismo; forse qualche discussione/post sui social… ma non molto di piu. Purtroppo e’ inevitabile che io sia stato vittima di episodi di razzismo fin da ragazzino. Secondo me, il motivo per il quale non ho vissuto troppo male questi episodi risiede principalmente nelle persone che avevo attorno e nella istruzione che ho avuto. Da ragazzino per ogni persona che mi trattava male per il colore della pelle ven’erano almeno dieci che mi dicevano di adorarla. Al liceo oltre alla pelle adoravano come ballavo e quanto bene sapessi la matematica e la fisica. In universita’ adoravano la mia curiosita’ e la autoironia. Oggi guardo al razzismo come un problema che potenzialmente potrebbe essere d’intralcio alla carriera che vorrei… ma con il curriculum e il bagaglio di esperienze vissute fino ad oggi, non ho davvero paura.
Spero che questa storia sia utile alla causa di questa bellissima iniziativa.

Un abbraccio,
Solomon

Nel 2013, un rapper invia un messaggio e un videoclip al suo ex docente di Lettere: “Salve prof, guardi il video e ascolti la canzone, i miei compagni di classe mi hanno detto che rispecchia i contenuti delle sue lezioni”. Il docente, emozionato e stimolato dall’episodio, chiama il suo ex alunno, in arte Esse, e lo invita ad andare a scuola, l’I.P.S.I.A. “F.lli Taddia” di Cento (FE), per scrivere insieme una canzone su un tema scelto dagli studenti. Il prof chiede alla classe: “Quale argomento vi piacerebbe trattare nella canzone?”, ma i ragazzi non rispondono. Il prof allora insiste: “Che cosa vi fa arrabbiare di più nella vita quotidiana?”. Un alunno risponde: “Prof, io mi arrabbio quando mi chiamano marocchino…”. “Ho capito”, risponde il docente, “scriviamo il primo verso della canzone”. Così nascono la canzone “La nostra rivolta (La Poesia sfida il razzismo)”

Stefano Esposito

Anna Carrara era maestra, un importante ruolo ai suoi tempi soprattutto per l’istruzione nei paesi cilentani.
Giungeva alla villa che porta il suo cognome da Montecorvino, la città nella quale viveva da qualche anno, da quando aveva avuto la cattedra.
Da sottolineare la discendenza dai Carrara e in particolare, con Domenico dal quale ereditò gli acquerelli della Villa che porta il nome della sua famiglia.
Anna aveva lo straordinario potere delle apparizioni, un po’come il commissario Ricciardi di Maurizio de Giovanni, con la differenza che ad Anna, apparivano non i morti ammazzati, ma i suoi discendenti, personaggi appartenenti alla storia della città che provenivano dal passato e anche dal futuro.
A farle compagnia il suo cagnolino Diego che aiuterà la maestra a cercare gli indizi che le venivano forniti dalle apparizioni e riceveva ogni volta in premio un panino del Pastificio Scaramella, oppure gli avanzi che il proprietario del Vicolo della Neve gli metteva da parte.
All’interno della Villa Carrara, una colonia di gatti custodiva la storia dell’edificio; i tre gatti: Minou, Punto e Virgola aiuteranno Anna a rendere accessibile la Villa, soprattutto a lei che per camminare si serviva delle stampelle.
La maestra, era giunta in città per capire che fine avesse fatto la storia della sua città e non solo la storia, ma anche la geografia e capiremo perché.
Nonna Maria apparve ad Anna, un pomeriggio mentre passeggiava lungo i Picarielli accanto alla Chiesa di Santa Margherita, le svelò che a tante figure femminili la città di Salerno era legata, in particolare le Sante, a cominciare proprio da Margherita e i busti conservati nella Chiesa dedicata a San Giorgio, raffiguranti Santa Tecla, Santa Susanna e Santa Archelaide (tre sorelle che fuggirono dalla persecuzione di Diocleziano) ; un simpatico aneddoto volle raccontare Nonna Maria a proposito dei busti che accompagnavano San Matteo durante al processione, erroneamente chiamati “e’ Sore e San Matteo”, errore perché si trattava di figure maschili, Gaio, Ante e Fortunato (Santi Martiri Salernitani).

Domenico Carrara, le apparve dove oggi si trova il Largo Prato, poi Caduti di Brescia e in dialetto le diede alcuni indizi per scoprire la storia e la geografia del luogo “Ca’ era Prato, mò è largo”, perché lì scorreva il torrente Prato, scomparso insieme ad altri fiumi che bagnavano la città dei quali se ne possono, o meglio se ne potevano, contare almeno 25.
Un altro indizio da parte di Domenico “chist era o Paraviso, i primizie stann a cca e alla” facendo riferimento alle coltivazioni disseminate lungo tutta la zona dove Anna stava passeggiando, a cca e a lla, perché ancora qualche traccia è presente nel giardino della villa e lungo il quartiere tra i palazzi popolari, ci sono piantati di qua e di là, degli alberi di limoni, forse per rievocare l’esotismo passato del posto.
Anna era affezionata ai racconti del suo posto natìo, tant’è vero che si fece ricamare sul vestito che indossò proprio al suo arrivo da Montecorvino, la zagara, fiore che a lei piaceva accostare ai versi di Lope de Vega (Pastena ha continuato il suo legame con la Spagna, intitolando un famoso parco “Galiziano”).
Dal futuro apparve Remo, un militante di Lotta Continua il quale raccontò che i luoghi che si trovano proprio nel quartiere dove sorge la Villa, tra qualche anno, saranno testimoni di manifestazioni, le donne si riuniranno per reclamare i propri diritti e proprio Largo Prato (dal fiume già sopracitato) diventerà Largo Caduti Brescia in memoria dei caduti nella strage in Piazza della Loggia.

* Ogni riferimento non è puramente casuale, ma è voluto.

Anna Ferrara (Carrara)
Nonna Maria (mia nonna materna)
Remo (mio padre)
Diego (il cagnolino di Anna)
Minou, Punto e Virgola (i gatti di Anna)

DIEGO E LA SCATOLA DEI SOGNI!

di Anna Ferrara

VIDEO REALIZZATO DAL LICEO ALESSI DI PERUGIA

Questo contributo è stato realizzato dagli studenti e studentesse del Liceo Alessi di Perugia come “risposta” al nostro progetto. 

C’era una volta un ragazzo che… amava tanto tanto gli animali e odiava la solitudine. Non era molto felice, anzi spesso era assorto nei suoi pensieri; era solo un adolescente eppure capiva di non essere felice. Non che gli mancasse qualche cosa, anzi, aveva tutto ma in realtà niente. Aveva a portata di mano tutto ciò che desiderano i ragazzi della sua età, abiti nuovi, spesso firmati, gadget e giochi, smartphone e pc all’ultimo grido, ma non aveva amici… spesso si ritrovava a guardarsi la punta delle scarpe e a farsi delle domande sul futuro, non riusciva a condividere con gli altri queste preoccupazioni per cui spesso veniva isolato… qualcuno l’aveva anche apostrofato come “l’incompreso” deridendolo; lui, incurante, sovrappensiero, continuava ad essere quello che era, un ragazzo semplice che si chiedeva che ne sarebbe stato di lui in un mondo dove si era costretti a lasciare il proprio paese per trovare lavoro, per avere qualche chance, possibile che era l’unico a farsi delle domande?!? Se non aveva amici, su chi avrebbe potuto contare davvero? A chi avrebbe potuto raccontare le sue angosce? Chi si sarebbe veramente preoccupato per lui? Che ne sarebbe stato di lui, da adulto, magari laureato senza speranze in questa assurda, moderna, società?!? – Era un tipo anonimo, che certo non si faceva notare, sono certa che non gli avreste dato tanta importanza se non aveste saputo che un giorno sarebbe uscito dall’anonimato e sarebbe diventato famoso. La svolta arrivò per caso, era lì… dietro l’angolo, in uno di quei tanti pomeriggi anonimi in cui, con una felpa larga, un cappellino, un paio di scarpe da ginnastica e le cuffie nelle orecchie con la musica a palla, era solito passeggiare nel quartiere. Su di un marciapiede, uno scatolone si muoveva da solo, eppure non c’era vento… aveva tutta l’aria di essere la scatola dei sogni… uno strano quanto improvviso movimento destò la sua attenzione, si tolse le cuffie… e sentì uno strano rumore, come un mugugno. Lesto, aprì lo scatolone e dentro vi trovò uno spaventatissimo cucciolo di cane! Era dolcissimo… chi mai avrebbe compiuto un gesto così atroce? Com’era possibile guardare quegli occhietti dolci e lasciarli per strada? Abbandonarli?!? Prese una decisione, fulminea, avrebbe salvato quel cucciolo, l’avrebbe portato a casa e curato, si sarebbe occupato di lui in tutto e per tutto, e se i suoi non fossero stati d’accordo… beh al diavolo, ci avrebbe litigato una buona volta, chissà forse si sarebbero finalmente accorti di lui… Tornò a casa, la madre non disse nulla, ma ribadì che non voleva saperne niente, anzi… un cucciolo necessitava di cure veterinarie e spese, non voleva noie… il ragazzo esitò un attimo, poi pensò di rispondere ad un tizio che su un gruppo whatsapp cercava un cameriere. 

Doveva avere un budget settimanale da spendere per il cucciolo, e quella sera stessa prese appuntamento per iniziare. Non l’aveva mai fatto ma ora, ci doveva provare. Rovistò in camera sua, trovò una vecchia cesta dei giochi, qualche sciarpa, un vecchio maglione sgualcito; preparò la cesta come una culla, al cucciolo di cane piacque perché vi si addormentò subito… corse in cucina, in fondo ad uno scaffale recuperò una ciotola, vi mise del latte e qualche pezzo di pane, che portò subito al cane, il quale apprezzò molto, mangiò di gusto e presto si acciambellò di nuovo; non gli restava che uscire di corsa a comprare dei croccantini con gli ultimi soldi che gli aveva lasciato la nonna nel dopopranzo della scorsa domenica… se la fece a gambe levate, non voleva spazientire la madre ne trovare il cucciolo alle prese con qualche pasticcio in camera sua; comprò anche un collare, un guinzaglio e un osso giocattolo per i denti. Da quel giorno, una nuova scintilla albergava nei suoi occhi tristi, ora aveva uno scopo, qualcuno di cui occuparsi, che dipendeva totalmente da lui… e questa scintilla animò le sue giornate e pure i suoi pensieri che non erano poi più tanto tristi. Cominciò a studiare seriamente, ben presto venne definito il più bravo alunno del liceo scientifico della città. E non solo, cominciò a fare piccoli lavoretti: lavapiatti, lavascale, cameriere, anche per pochi spiccioli… lavorava e studiava… e intanto cresceva con amore tutti i cuccioli che trovava per strada; nel giro di qualche anno arrivò ad avere 4 cani e due gatti, le spese erano tante ma lui con i suoi sacrifici e con l’aiuto del veterinario di quartiere che l’aveva preso a ben volere, non faceva mai mancare cibo e cure alle sue creature. Il ragazzo ben presto diventò adulto, con chiare scelte e aspettative sul suo futuro. Diventò un ricercatore, uno studioso di alimenti zootecnici… nel suo campo si specializzò, a trent’anni aprì un negozio e a trentacinque aveva già il suo marchio di alimenti e la sua piccola azienda… e dire che tutto era nato da quella scintilla, da un cucciolo e da quando si era chiesto cosa ci fosse in una crocchetta di cibo mentre se la girava tra le dita. I cani e i gatti gli avevano cambiato la vita, il loro amore incondizionato aveva spinto con forza sull’acceleratore dei suoi sogni tanto da trasformare le sue angosce di ragazzo in chiare e concrete risposte. Se ti ci metti di muso buono, ed affronti la vita, facendo il tuo dovere, studiando e lavorando, credendoci con tutta la forza, prima o poi qualche risultato arriva. Com’era successo a lui, che adesso a quarant’anni, aveva l’amore di sua moglie, di suo figlio, dei suoi quattro cani, dei suoi tre gatti, e un’azienda agricola fuori città, con mucche, galline, produzione di alimenti per animali di alta qualità, ecc… ecc… questa è la storia di Diego e la scatola dei sogni!

 

Sin da piccolo si era sempre sentito “speciale” rispetto agli altri a causa delle sue origini straniere, tanto da vantarsene alla scuola materna e perciò non aveva tanti amici. Col passare degli anni, però, quello “speciale” di un tempo si trasforma lentamente in “diverso” e ciò influenza notevolmente la sua vita dalle scuole elementari fino all’avvio delle superiori. Quel bambino arrogante e presuntuoso che si vantava delle sue origini è diventato timido, introverso, asociale, quasi patetico; alle scuole medie parla il minimo necessario in classe, non chiacchiera con i suoi compagni poiché non ha passioni o hobby in comune, a ricreazione non esce mai dalla classe (anche a causa di casi di bullismo ricevuti). Poi arriva la depressione, in terza media e finalmente per un periodo la scuola si accorge di lui e si mobilita per aiutarlo. Leo continua però a sentire di essere un’esistenza futile e decide di cambiare alle scuole superiori; ma ciò non accade… Almeno all’inizio. Per il primo giorno si è imposto di non commettere gli stessi errori del suo primo giorno delle medie (come quello di arrivare in ritardo) e di lasciare un’immagine diversa di sé: d’altronde la prima impressione di una persona la si ha nei primi 6 secondi di contatto; perciò vuole mostrarsi entusiasta e socievole, rimanendo sempre sé stesso, senza nascondere le sue passioni. Ciò non funziona, nessuno sembra accorgersi del povero ragazzo che continua a sentirsi solo fino all’inizio del secondo anno. Tutto ad un tratto una ragazza molto alta, schietta, allergica alle mimose e spaventata dagli uccelli inizia ad invitarlo a casa sua con altri compagni di classe. Inizialmente il giovane non capisce che questo sarebbe stato il punto di svolta della sua vita ed accetta solo per cortesia. Nei primi incontri non parla molto con gli altri, sta per lo più ad ascoltarli ma comunque si diverte. Gli inviti iniziano ad arrivare più frequenti e così gli incontri; si va in giro per la città. Pian piano il ragazzo inizia a conoscere gli altri e così decide di iniziare a parlare un po’ di più: senza saperlo quelle poche parole si trasformarono in frasi, da frasi diventarono periodi, e così via fino ad arrivare a lunghi discorsi. Il tempo passato con i suoi compagni diventa sempre più veloce…. ed il desiderio di passare tempo con loro si ingigantisce di pari passo: per la prima volta in vita sua Leo capisce il piacere della compagnia e non vuole più tornare alla solitudine di una volta. Si butta e prende l’iniziativa di non aspettare passivamente gli inviti ad uscire ma anche di farli. Gli altri accettano con gioia e lui capisce che si è finalmente integrato.
Leo Zhou
Liceo Scientifico G.Alessi Perugia 4B
Il tema dell’immigrazione è un argomento che mi sta particolarmente a cuore, infatti fin da piccolo ho stretto numerose amicizie con persone appartenenti ad etnie diverse dalla mia. Tra queste, c’è in modo particolare, una storia di amicizia che mi ha segnato fortemente. Tutto è cominciato quando frequentavo la scuola elementare. Una mattina io e i miei compagni ci siamo ritrovati in aula un nuovo bambino con caratteri somatici orientali e che si era seduto sul posto dove ero solito mettermi io. Mi ricordo che all’inizio ero un po’ arrabbiato perché mi aveva “rubato” il famoso ultimo banco, ma spinto dalla maestra mi ero seduto titubante accanto a lui e mi ero presentato. Si chiamava Leo ed era molto timido, rispondeva a stento alle mie domande ma a fine giornata, probabilmente grazie alla mia insistenza, si era sciolto un pochino ed ero riuscito ad ottenere qualche informazione in più su di lui. I giorni successivi non erano stati semplici, infatti Leo, veniva costantemente additato dagli altri bambini ed etichettato come diverso e con lui anch’io, solo perché eravamo amici. Fortunatamente con il passare del tempo queste situazioni spiacevoli sono migliorate e non ci sono più problemi del genere. Oggi la nostra amicizia si è ulteriormente rafforzata e sono veramente contento di essermi seduto vicino lui quella mattina.
Emanuele Galli
Liceo Scientifico G.Alessi Perugia 4B
Prima che io nascessi i miei genitori, durante un viaggio in Kenya, hanno conosciuto un ragazzo del posto e tuttora sono in contatto con lui. Ho sempre sentito parlare di Ruben come un caro amico e ho seguito le vicende della sua vita come se fosse uno di famiglia:i suoi studi, il suo lavoro, la sua famiglia e la nascita dei figli. Nel 2013 io e i miei genitori siamo andati a trovarlo e lui ci ha accolto con affetto, come se fossimo persone di “famiglia”. Ricordo con nostalgia un pranzo nella casa dei suoi genitori: una casa povera ma ricca di amore. Nonostante fossi piccola e lontana dalla mia città, grazie alla loro accoglienza mi sono sentita a “casa”.
Benedetta Brancato
Liceo Scientifico G.Alessi Perugia 4B
Io sono stata fortunata perché ho fatto tutte le scuole in Italia e questo ha facilitato la mia integrazione, ma persone come i miei, che sono arrivati in questo paese ormai adulti, l’integrazione non è stata così facile. Mio fratello Darwin quando è arrivato in Italia aveva 13 anni e mi ricordo che non gli piaceva andare a scuole perché non si sentiva capito e si sentiva diverso; veniva seguito da insegnanti di sostegno, il che lo faceva sentire ancora più diverso ,come se gli mancasse qualcosa per poter essere allo stesso livello degli altri . Col tempo ha imparato la lingua e ha cominciato ad interagire di più con le persone e integrandosi completamente nella classe . Ha comunque preferito, nella vita quotidiana, stare di più nella comunità dei filippini, sentendosi più a suo agio. Molto altre persone che conosco non si sentono accolti e presi in considerazione a scuola e decidono spesso di lasciare lo studio appena finisce l’obbligo. Fortunatamente questo non è il nostro caso .
Patricia Ane Roco Torizo
Liceo Scientifico G.Alessi Perugia 4B
Sono già quattro anni che faccio il liceo ma c’è stato bisogno di una pandemia per farmi conoscere veramente Patricia. Ci conoscevamo naturalmente, andando in classe insieme, ma non potevamo considerare il nostro rapporto con il termine “amicizia”. Dopo il lockdown il ritorno a scuola in presenza prevedeva che solo metà classe fosse in aula e l’altra metà a casa. Io e Patricia eravamo nello stesso turno, così abbiamo iniziato a parlare. Avevamo occasione di approfondire la nostra conoscenza anche dopo le lezioni perché tornavamo a casa insieme, o meglio facevamo la stessa strada. Quelle che erano conversazioni basate su argomenti generici pian piano si sono trasformate in discorsi profondi. Patricia è una persona meravigliosa e genuina che si è aperta con me e che mi ha raccontato delle sue origini e dei suoi problemi. Quando mi ha parlato delle Filippine ne sono rimasta ammaliata. Ogni tanto mi insegna qualche parola in Tagalog che è il dialetto che si parla nella regione dove è nata. Averla conosciuta e capita mi ha fatto vedere un mondo di cui non ero a conoscenza e soprattutto mi ha regalato un’amica speciale.
Lavinia Nottoli
DesignerLiceo Scientifico G.Alessi Perugia 4B
Un anno fa ho avuto l’occasione di vedere e vivere in prima persona una vicenda di accoglienza assolutamente positiva che vede come protagonisti una madre, Oxana, che lavora come badante da due anni per mia zia affetta da Alzheimer, e suo figlio Dima, entrambi provenienti dalla Moldavia. A marzo dello scorso anno Oxana è costretta a partire dall’Italia e tornare in Moldavia poiché sua madre, alla quale è affidato Dima, è risultata positiva al Covid e, dopo pochi giorni passati in ospedale, purtroppo muore. Dima, che ha meno di sei anni, si ritrova quindi senza casa e senza alcun familiare che possa occuparsi di lui, dato che sono tutti emigrati all’estero in cerca di lavoro. Inoltre, i servizi sociali moldavi avvertono Oxana che se non fosse arrivata al più presto avrebbero portato suo figlio in un istituto; così, due giorni dopo, con l’aiuto della mia famiglia, parte per la Moldavia e, passate due settimane, atterra a Roma con il piccolo Dima. Una volta a Perugia, il bambino viene subito iscritto alla scuola dell’infanzia e viene affidato a mia zia l’incarico di insegnargli le parole basilari italiane, che il bimbo impara subito, riuscendo a comunicare con gli altri bambini in poco tempo. Ora Dima frequenta il primo anno di scuola elementare ed è perfettamente integrato all’interno della sua classe, sta imparando bene l’italiano e per mia zia rappresenta la medicina più efficace.
Benedetta Liguori
Liceo Scientifico G.Alessi Perugia 4B
Nel 2017 ho assistito ad una vera storia di integrazione positiva. Nello stesso quartiere di mia nonna abitava una donna anziana che, avendo bisogno di assistenza aveva assunto nella propria abitazione una donna rumena, di nome Gabriela. Gabriela aveva abbandonato il suo paese perché non possedeva una stabilità economica che le permettesse di aiutare i propri familiari nelle spese quotidiane, così, tramite la conoscenza di un’altra signora venuta in Italia, era riuscita a trovare un posto di lavoro qui in Umbria. La signora anziana ha consentito alla donna di vivere insieme a suo figlio in casa, per dare al bambino l’opportunità di andare a scuola e di vivere in una situazione migliore. Il marito di Gabriela invece non ha lasciato la Romania, ma viene licenziato e rimane senza un posto di lavoro. Informata di questa notizia, l’anziana invita anche l’uomo a vivere da lei: stava cercando proprio in quel periodo qualche uomo disposto a sistemare il suo grande giardino e la sua abitazione. Lui, considerata la vicinanza alla sua famiglia, decide così di trasferirsi in Italia, nonostante lasciasse il proprio paese di origine per un’offerta di lavoro dal guadagno molto modesto. Oggi queste tre persone sono riuscite a ritornare a vivere insieme dopo essere state accolte da una signora che sicuramente ha capito cosa significa avere problemi ogni giorno e che, aiutandosi a vicenda, si può costruire la base per una nuova storia e una nuova vita.
Eleonora Patucca
Liceo Scientifico G.Alessi Perugia 4B
Quella che sto per raccontare è la storia di una grande donna di origini africane...Edith. Perché, se costruire una nuova vita in un paese straniero è difficile per chiunque, lo è molto di più per le donne. Laureata in biologia ed informatica, arriva in Italia insieme a suo marito e i suoi due figli adottivi in cerca di fortuna. Il marito trova lavoro come programmatore informatico e decidono allora di allargare famiglia con l’arrivo di altri due bambini. Il sogno di tornare nella propria terra rimane sempre vivo nelle loro menti, tant’è che grazie ad un colpo di fortuna, riescono a far parte di un progetto per la creazione di una società informatica in Africa che li riporterebbe nel loro paese nativo. Improvvisamente però, il sogno si sgretola perché dalla mattina alla sera, Edith viene abbandonata dal marito, che sparisce senza motivazioni, lasciandola con quattro figli da crescere, un affitto da pagare, un frigo vuoto e cinquanta mila lire in tasca. Il mondo le cade addosso e la disperazione, l’angoscia e la paura entrano a far parte della sua vita e in quella dei suoi figli. Ma la dignità e il coraggio di questa donna sono state sempre le caratteristiche che l’hanno contraddistinta fino ad oggi. Si rimbocca le maniche e cerca lavoro: nonostante la sua laurea, fa la donna delle pulizie. Proprio per la sua storia, per la sua correttezza, la sua integrità morale e la sua bontà, si sono stretti intorno a lei conoscenti che oggi sono diventati i suoi amici più cari. Questi ultimi hanno salvaguardato la salute fisica e mentale di tutta la sua famiglia, aiutandola in tutti i modi possibili senza fargli mancare mai niente. Oggi, a distanza di ventidue anni, i suoi ragazzi si sono sistemati lavorativamente e due di loro si sono laureati, dando grande soddisfazione a questa mamma coraggiosa e a tutto l’enturage umanitario che li ha circondati.
Francesca Bendolini
Liceo scientifico G.Alessi Perugia
In seconda media all'inizio del nuovo anno scolastico, arriva un nuovo ragazzo proveniente dalla Colombia. Lui non sa parlare benissimo l'italiano. E’ stato adottato da una coppia italiana, amici dei miei genitori, e loro mi chiedono di aiutarlo a conoscere la classe e ad ambientarsi. Fin da subito mi sono trovato bene con lui; ma per noi ragazzi la vera spinta a diventare un gruppo omogeneo è stato giocare a calcio; da qui dopo un po' di tempo il mio amico è riuscito ad integrarsi anche con la classe e ad avere nuovi amici. Secondo me lo sport di squadra è un ottimo strumento di integrazione, che facilita i rapporti e annulla le differenze, perché a ciascuno viene richiesto uno sforzo individuale per il bene del gruppo e vale allo stesso modo il contributo di tutti.
Francesco Casini
Liceo Scientifico G.Alessi Perugia
Un’esperienza che ricordo di positiva integrazione di un ragazzo immigrato si è svolta durante le scuole medie: l’età è il contesto della secondaria di primo grado è veramente un momento cruciale sia in positivo sia in negativo per l’integrazione; se si perde la partita a quell’età per l’inserimento è improbabile che ragazzi e ragazze proseguano gli studi e si integrino veramente. A circa metà anno scolastico era arrivato nella nostra classe un ragazzo straniero, giunto da poco nel nostro paese attraverso un collegamento marittimo; conosceva a malapena l’Italiano e aveva ovviamente numerose difficoltà di apprendimento inizialmente, ma già entro la fine dell’anno aveva fatto enormi progressi, sia in ambito scolastico, sia in ambito sociale. È riuscito a infatti inserirsi senza problemi all’interno della classe, e io e miei compagni siamo stati felici di stringere un rapporto di amicizia con una persona che aveva tradizioni e modi di fare differenti, e di confrontarci. Durante il terzo ed ultimo anno di medie infine, noi compagni lo abbiamo aiutato a prepararsi per l’esame finale che è riuscito a superare con un’ottima valutazione.
Pietro Bonelli
Liceo Scientifico G.Alessi Perugia
Durante il secondo anno della scuola media è arrivato in classe un ragazzo proveniente dalla Nigeria. Appena arrivato non parlava benissimo l’italiano ma nonostante ciò fin da subito ha iniziato a voler interagire con la classe. All’inizio siamo stati un po’ tutti bloccati dal fatto che non sapevamo bene come comunicare con lui ma dopo alcune settimane era già diventato parte integrante della classe. Ci ha raccontato moltissime cose della sua famiglia e ci ha mostrato le foto del paese da cui proveniva. Non è mai stato considerato come “diverso” e per questo escluso: anzi, ha portato qualcosa di nuovo alla classe. Durante gli ultimi mesi della terza media è dovuto tornare nel suo paese d’origine per problemi familiari, ma nonostante questo ci siamo mantenuti in contatto e lo siamo anche oggi, semplicemente scrivendo sull’ex gruppo classe per dimostrargli che lui, anche se distante, è uno di noi. Gli sono grata, perché ha portato una nuova cultura all’interno della classe arricchendo ognuno di noi.
Giulia Stivalini
Liceo Scientifico G.Alessi Perugia 4B
Fortunatamente il mondo non è solo un posto colmo di odio. Raccontare scene di razzismo è importante tanto quanto menzionare episodi positivi. Essi sono spesso, però, strettamente collegati. L’estate scorsa ero in Sicilia con delle amiche ed eravamo in viaggio sul traghetto. All’ora di pranzo eravamo sedute a tavola e tra una risata e l’altra il tempo volava. Proprio mentre stavamo per andarcene, un anziano signore si avvicinò offrendoci del vino e, guardando la mia amica sudamericana, disse: “bevi un po’ di vino bianco, così magari ti ci diventa anche la pelle”. Io e le mie amiche stavamo aspettando che la nostra amica rispondesse a tono, ma ciò non è accaduto: l’abbiamo vista mortificata e zitta. Appena l’uomo è andato via soddisfatto della battuta le abbiamo detto che secondo noi era sbagliato subire senza reagire. La nostra solidarietà l’ha convinta e tutte insieme siamo andate a cercare nuovamente l’uomo. Una volta trovato, lei è riuscita ad affrontarlo e a fargli notare che le parole dette erano totalmente fuori luogo. La nostra amica è stata molto coraggiosa; le persone attorno a noi hanno cominciato a sostenerla durante la discussione e alla fine l’hanno applaudita. L’uomo si è scusato e la nostra amica è rimasta stupefatta del coraggio che le persone attorno a lei, semplicemente schierandosi dalla sua parte, sono riuscite a trasmetterle.
Sara Pignatale
Liceo Scientifico G.Alessi Perugia 4B
Ferdie è una donna di 54 anni, ormai da quasi 31 anni in Italia. È una delle tante cittadine albanesi che l’8 Agosto 1991 hanno visto nel porto di Bari un barlume di salvezza, la speranza di una vita migliore cercando di fuggire dalla propria Patria, che da sempre ha negato loro libertà e diritti fondamentali. Ferdie si commuove facilmente quando racconta di sé e di ciò che ha passato; essendo registrata come giornalista, non ha potuto godere di asili politici, di un centro accoglienza, come nemmeno di qualche soldo da investire per la vita che avrebbe condotto in Italia. Ferdie è scappata dal Regime comunista, ricorda chiaramente ciò che ha vissuto e quanto i suoi pensieri fossero schiacciati dal pensiero unico, che un regime porta inevitabilmente con sé; lei dice anche di aver trovato la libertà nel poter professare una religione, cosa che in Albania (durante il regime) non era possibile. Ferdie è il chiaro esempio di una donna che in 31 anni lontana da casa è stata in grado di costruirsi una “nuova vita”, di rinascere, di guadagnare a caro prezzo il valore della libertà; una donna che attraverso i lavori umili (nelle case degli italiani) è stata in grado di scappare dalla condizione che la opprimeva, forse trovando la felicità.
Luca Stemperini
Liceo Scientifico G.Alessi Perugia 4B
Quando frequentavo le elementari ricordo che ero molto amica con un bambino proveniente dall’Ecuador di nome Michele. Spesso lo invitavo a casa e giocavamo insieme; talvolta lo aiutavo anche a studiare o a fare i compiti, sebbene comunque riuscisse a parlare piuttosto bene l’italiano e a capirlo. Non mi sembra abbia mai avuto problemi nemmeno a integrarsi o a fare amicizia con gli altri della mia vecchia classe, anzi, scherzava ed era in sintonia con tutti, tanto che, quando ne aveva il bisogno, ad esempio, i genitori dei bambini stessi gli offrivano dei passaggi per tornare a casa dopo scuola. Dopo il terzo anno però, ci ha comunicato che sarebbe dovuto tornare in Ecuador con la madre per questioni di lavoro. Ricordo che ci siamo rimasti tutti molto male: un nostro amico si sarebbe trasferito lontano da noi e quello sarebbe stato senza dubbio un addio definitivo. Dato che ci tenevamo così tanto, tuttavia, abbiamo organizzato una grande festa a sorpresa per lui, per poterlo salutare al meglio. Lui ha gradito molto il nostro gesto e si è commosso. Credo che questa non sia solo una bellissima storia di amicizia, ma penso anche che dimostri che non sempre coloro che appartengono ad un’altra nazionalità vengono mal visti qui in Italia e che, anzi, ci sono molte testimonianze positive come questa che andrebbero raccontate e prese come esempio.
Sofia Segantini
Liceo Scientifico G.Alessi Perugia 4B
Fortunatamente sono cresciuta in una famiglia nella quale si è sempre insegnata e ricercata l’uguaglianza in ogni ambito, anche tra fratelli e sorelle. I miei genitori hanno sempre trattato me, mia sorella e mio fratello allo stesso modo, così come hanno preteso (e ovviamente ancora pretendono) che noi facciamo lo stesso con gli altri. La mia storia di integrazione parte proprio dalla mia famiglia. Mia mamma da moltissimi anni soffre di problemi alla schiena che le impediscono di svolgere tutto ciò che è necessario per tenere in ordine la casa, così da quando ero bambina ha iniziato a cercare aiuto al di fuori del contesto familiare. In una calda giornata d’estate varca la soglia di casa una ragazza mai vista prima che parla con un accento dell’Europa Orientale, Elena. Ero piccola e quella parlata che mi sembrava strana mi incuteva un certo timore, sembrava quasi che un sergente straniero fosse appena arrivato. Nonostante l’iniziale impaccio e timidezza di Elena, nel corso degli anni si è formata una bellissima amicizia tra lei e mia mamma. Ricordo addirittura di essere andata al suo matrimonio qualche anno fa, matrimonio dal quale è nata una bellissima bambina di nome Alessandra. Elena oggi, nonostante i suoi quasi quarant’anni, sta studiando per diventare assistente sanitario e la figlia Alessandra frequenta un asilo nido insieme a tutti i bambini del quartiere (italiani e non). Aver conosciuto questa persona mi ha insegnato a non giudicare mai dalle apparenze, ma soprattutto a non soffermarsi alla lingua e allo status sociale di chi ci circonda.
Marta Assini
Liceo Scientifico G.Alessi Perugia
Tania ha 25 anni, viene dall’Ucraina, è sposata ed ha una bellissima bambina di 2 anni; è arrivata in Italia, con la sua famiglia, quando aveva 15 anni ed ha frequentato l’istituto Pascal di Perugia. Il suo percorso non è stato semplice: ha dovuto affrontare giorni, settimane, mesi di incertezza, paura e di fatica. Con i suoi genitori è fuggita da un paese povero e inospitale, dalla fame e dal freddo; è arrivata qui nella nostra piccola città di provincia e invece di rimanere ai margini della società ha sovvertito lo stereotipo dei migranti e si è innestata nel tessuto del suo nuovo Paese e lo ha migliorato con il suo lavoro, con la sua educazione e rispetto. Da un paio di anni ha la sua attività dove lavora come estetista e le sue clienti (tra cui me) sono molto soddisfatte! Ringrazio Tania perché come altri migranti ha contribuito a migliorare la nostra società e mi ha insegnato che come ho letto in un testo sulla fratellanza: “la terra è un solo paese, siamo onde dello stesso mare, foglie dello stesso albero, fiori dello stesso giardino”. E’ la storia di una ragazza che, con sacrificio, ce l’ha fatta e ora può prendersi una grande rivincita contro tutte quelle persone che non credevano in lei, che le dicevano di andarsene perché non parlava bene l’italiano o che la escludevano perché non poteva permettersi i vestiti che indossavano le sue compagne. Questa è la storia di Tania, ma è solo una delle tante storie vere di integrazione positiva; da loro abbiamo tanto da imparare e l’unico modo per cercare di superare la discriminazione è di diffondere queste storie per far capire che il razzismo è un orizzonte che oramai, nel 2022 deve essere superato.
Matilde Giove
Liceo Scientifico G.Alessi Perugia
Ho avuto la possibilità di conoscere un immigrato di nome Benedito, proveniente dall'Africa. Ho avuto modo di ascoltare la sua storia, i sacrifici che ha dovuto compiere, il suo lungo viaggio che ha dovuto affrontare insieme ad un piccolo gruppo di amici per raggiungere la Libia e soprattutto i lunghi sei mesi che ha dovuto sopportare in quell'orribile posto, in cui tutti gli immigrati venivano maltrattati. Inoltre, non sapendo ancora parlare l'italiano, mi ha raccontato con i gesti che sentiva gli spari nelle vicinanze e che temeva molto per la sua vita. Benedito lavora fuori dal supermercato della Conad di Ferro di Cavallo, aiutando le persone con la spesa e anche il personale del supermercato. È una persona con il sorriso sempre stampato in faccia, a cui piace parlare e condividere ciò che ha passato, sempre aperto a nuove amicizie e abbastanza noto in quel posto. A volte, per solidarietà, quando vado a fare la spesa, sia io che mia madre cerchiamo di aiutarlo, comprandogli qualcosa da mangiare. Ma la carità non basta.
Mohamed Makrazi
Liceo Scientifico G.Alessi Perugia 4 B