Raccontaci la tua storia
In questo spazio potrai condividere una storia di integrazione riuscita che hai vissuto in prima persona o di cui sei testimone
Le vostre storie
Ciao a tutti voi di storiechecambianoilmondo,
mi chiamo Solomon e sono nato in Etiopia, Africa centro-occidentale. A 8 anni sono stato adottato da una famiglia italiana e attualmente vivo a Milano. Dei miei genitori naturali e di quel breve periodo vissuto in Etiopia ricordo poco. So che mio padre mori’ nella guerra tra Eritrea ed Etiopia che avvenne tra il 1998 e il 2000. Mia madre, non riuscendo a sfamare tutti i figli, aveva spesso attacchi di pazzia. Dopo un episodio drammatico in cui sono morti due mie fratellini, un nostro zio decise di portare me e altri 3 fratelli in un orfanotrofio ad Addis Abeba. Dopo due anni in orfanotrofio fummo adottati tutti e 4 da due famiglie italiane. Una era la mia, l’altra adotto’ gli altri due fratelli che ora vivono a Cesena.
Seppur tristi e drammatiche, le vicende e le modalita’ che mi hanno portato in Italia sono ben lontane da essere comparabili a quelle dei viaggi della speranza di cui si parla nel caso di migranti. Ma sopratutto, la mia permanenza in Italia e’ sicuramente un caso piu unico che raro. Sono infatti convinto che la mia in realta’ sia una storia al limite del fiabesco. Ad oggi sono 21 anni che sono in Italia, e se non fosse per il colore della pelle non direste mai che non sono italiano. Ho iniziato le elementari a 8 anni, 2 anni in iritardo, ma ho recuperato un anno facendo terza e quarta assieme. Ho studiato in un liceo scientifico perche’ volevo diventare ingegnere. Ho passato il test di ingegneria al Politecnico di Milano in quarta liceo perche’ ero trepidande dal desiderio di entrarci. Il percorso al Politecnico e’ stato liscio e molto piacevole tante’ che ho deciso di continuare a fare il dottorato dopo un anno di visiting in America. All’eta’ di 29 anni vivo a Milano in un mio appartamento, ho la mia macchina e tra 4 mesi finisco il dottorato in Ingegneria dell’Automazione con tesi sulla guida autonoma di macchine per le operazioni nei vigneti. Come vi dicevo, la mia storia e’ al limite del fiabesco…
Ho deciso di condividere questa storia perche’ durante tutti questi anni non mi sono quasi mai approcciato seriamente all’argomento razzismo; forse qualche discussione/post sui social… ma non molto di piu. Purtroppo e’ inevitabile che io sia stato vittima di episodi di razzismo fin da ragazzino. Secondo me, il motivo per il quale non ho vissuto troppo male questi episodi risiede principalmente nelle persone che avevo attorno e nella istruzione che ho avuto. Da ragazzino per ogni persona che mi trattava male per il colore della pelle ven’erano almeno dieci che mi dicevano di adorarla. Al liceo oltre alla pelle adoravano come ballavo e quanto bene sapessi la matematica e la fisica. In universita’ adoravano la mia curiosita’ e la autoironia. Oggi guardo al razzismo come un problema che potenzialmente potrebbe essere d’intralcio alla carriera che vorrei… ma con il curriculum e il bagaglio di esperienze vissute fino ad oggi, non ho davvero paura.
Spero che questa storia sia utile alla causa di questa bellissima iniziativa.
Un abbraccio,
Solomon
Nel 2013, un rapper invia un messaggio e un videoclip al suo ex docente di Lettere: “Salve prof, guardi il video e ascolti la canzone, i miei compagni di classe mi hanno detto che rispecchia i contenuti delle sue lezioni”. Il docente, emozionato e stimolato dall’episodio, chiama il suo ex alunno, in arte Esse, e lo invita ad andare a scuola, l’I.P.S.I.A. “F.lli Taddia” di Cento (FE), per scrivere insieme una canzone su un tema scelto dagli studenti. Il prof chiede alla classe: “Quale argomento vi piacerebbe trattare nella canzone?”, ma i ragazzi non rispondono. Il prof allora insiste: “Che cosa vi fa arrabbiare di più nella vita quotidiana?”. Un alunno risponde: “Prof, io mi arrabbio quando mi chiamano marocchino…”. “Ho capito”, risponde il docente, “scriviamo il primo verso della canzone”. Così nascono la canzone “La nostra rivolta (La Poesia sfida il razzismo)”
Stefano Esposito
Anna Carrara era maestra, un importante ruolo ai suoi tempi soprattutto per l’istruzione nei paesi cilentani.
Giungeva alla villa che porta il suo cognome da Montecorvino, la città nella quale viveva da qualche anno, da quando aveva avuto la cattedra.
Da sottolineare la discendenza dai Carrara e in particolare, con Domenico dal quale ereditò gli acquerelli della Villa che porta il nome della sua famiglia.
Anna aveva lo straordinario potere delle apparizioni, un po’come il commissario Ricciardi di Maurizio de Giovanni, con la differenza che ad Anna, apparivano non i morti ammazzati, ma i suoi discendenti, personaggi appartenenti alla storia della città che provenivano dal passato e anche dal futuro.
A farle compagnia il suo cagnolino Diego che aiuterà la maestra a cercare gli indizi che le venivano forniti dalle apparizioni e riceveva ogni volta in premio un panino del Pastificio Scaramella, oppure gli avanzi che il proprietario del Vicolo della Neve gli metteva da parte.
All’interno della Villa Carrara, una colonia di gatti custodiva la storia dell’edificio; i tre gatti: Minou, Punto e Virgola aiuteranno Anna a rendere accessibile la Villa, soprattutto a lei che per camminare si serviva delle stampelle.
La maestra, era giunta in città per capire che fine avesse fatto la storia della sua città e non solo la storia, ma anche la geografia e capiremo perché.
Nonna Maria apparve ad Anna, un pomeriggio mentre passeggiava lungo i Picarielli accanto alla Chiesa di Santa Margherita, le svelò che a tante figure femminili la città di Salerno era legata, in particolare le Sante, a cominciare proprio da Margherita e i busti conservati nella Chiesa dedicata a San Giorgio, raffiguranti Santa Tecla, Santa Susanna e Santa Archelaide (tre sorelle che fuggirono dalla persecuzione di Diocleziano) ; un simpatico aneddoto volle raccontare Nonna Maria a proposito dei busti che accompagnavano San Matteo durante al processione, erroneamente chiamati “e’ Sore e San Matteo”, errore perché si trattava di figure maschili, Gaio, Ante e Fortunato (Santi Martiri Salernitani).
Domenico Carrara, le apparve dove oggi si trova il Largo Prato, poi Caduti di Brescia e in dialetto le diede alcuni indizi per scoprire la storia e la geografia del luogo “Ca’ era Prato, mò è largo”, perché lì scorreva il torrente Prato, scomparso insieme ad altri fiumi che bagnavano la città dei quali se ne possono, o meglio se ne potevano, contare almeno 25.
Un altro indizio da parte di Domenico “chist era o Paraviso, i primizie stann a cca e alla” facendo riferimento alle coltivazioni disseminate lungo tutta la zona dove Anna stava passeggiando, a cca e a lla, perché ancora qualche traccia è presente nel giardino della villa e lungo il quartiere tra i palazzi popolari, ci sono piantati di qua e di là, degli alberi di limoni, forse per rievocare l’esotismo passato del posto.
Anna era affezionata ai racconti del suo posto natìo, tant’è vero che si fece ricamare sul vestito che indossò proprio al suo arrivo da Montecorvino, la zagara, fiore che a lei piaceva accostare ai versi di Lope de Vega (Pastena ha continuato il suo legame con la Spagna, intitolando un famoso parco “Galiziano”).
Dal futuro apparve Remo, un militante di Lotta Continua il quale raccontò che i luoghi che si trovano proprio nel quartiere dove sorge la Villa, tra qualche anno, saranno testimoni di manifestazioni, le donne si riuniranno per reclamare i propri diritti e proprio Largo Prato (dal fiume già sopracitato) diventerà Largo Caduti Brescia in memoria dei caduti nella strage in Piazza della Loggia.
* Ogni riferimento non è puramente casuale, ma è voluto.
Anna Ferrara (Carrara)
Nonna Maria (mia nonna materna)
Remo (mio padre)
Diego (il cagnolino di Anna)
Minou, Punto e Virgola (i gatti di Anna)
DIEGO E LA SCATOLA DEI SOGNI!
di Anna Ferrara
VIDEO REALIZZATO DAL LICEO ALESSI DI PERUGIA
Questo contributo è stato realizzato dagli studenti e studentesse del Liceo Alessi di Perugia come “risposta” al nostro progetto.
C’era una volta un ragazzo che… amava tanto tanto gli animali e odiava la solitudine. Non era molto felice, anzi spesso era assorto nei suoi pensieri; era solo un adolescente eppure capiva di non essere felice. Non che gli mancasse qualche cosa, anzi, aveva tutto ma in realtà niente. Aveva a portata di mano tutto ciò che desiderano i ragazzi della sua età, abiti nuovi, spesso firmati, gadget e giochi, smartphone e pc all’ultimo grido, ma non aveva amici… spesso si ritrovava a guardarsi la punta delle scarpe e a farsi delle domande sul futuro, non riusciva a condividere con gli altri queste preoccupazioni per cui spesso veniva isolato… qualcuno l’aveva anche apostrofato come “l’incompreso” deridendolo; lui, incurante, sovrappensiero, continuava ad essere quello che era, un ragazzo semplice che si chiedeva che ne sarebbe stato di lui in un mondo dove si era costretti a lasciare il proprio paese per trovare lavoro, per avere qualche chance, possibile che era l’unico a farsi delle domande?!? Se non aveva amici, su chi avrebbe potuto contare davvero? A chi avrebbe potuto raccontare le sue angosce? Chi si sarebbe veramente preoccupato per lui? Che ne sarebbe stato di lui, da adulto, magari laureato senza speranze in questa assurda, moderna, società?!? – Era un tipo anonimo, che certo non si faceva notare, sono certa che non gli avreste dato tanta importanza se non aveste saputo che un giorno sarebbe uscito dall’anonimato e sarebbe diventato famoso. La svolta arrivò per caso, era lì… dietro l’angolo, in uno di quei tanti pomeriggi anonimi in cui, con una felpa larga, un cappellino, un paio di scarpe da ginnastica e le cuffie nelle orecchie con la musica a palla, era solito passeggiare nel quartiere. Su di un marciapiede, uno scatolone si muoveva da solo, eppure non c’era vento… aveva tutta l’aria di essere la scatola dei sogni… uno strano quanto improvviso movimento destò la sua attenzione, si tolse le cuffie… e sentì uno strano rumore, come un mugugno. Lesto, aprì lo scatolone e dentro vi trovò uno spaventatissimo cucciolo di cane! Era dolcissimo… chi mai avrebbe compiuto un gesto così atroce? Com’era possibile guardare quegli occhietti dolci e lasciarli per strada? Abbandonarli?!? Prese una decisione, fulminea, avrebbe salvato quel cucciolo, l’avrebbe portato a casa e curato, si sarebbe occupato di lui in tutto e per tutto, e se i suoi non fossero stati d’accordo… beh al diavolo, ci avrebbe litigato una buona volta, chissà forse si sarebbero finalmente accorti di lui… Tornò a casa, la madre non disse nulla, ma ribadì che non voleva saperne niente, anzi… un cucciolo necessitava di cure veterinarie e spese, non voleva noie… il ragazzo esitò un attimo, poi pensò di rispondere ad un tizio che su un gruppo whatsapp cercava un cameriere.
Doveva avere un budget settimanale da spendere per il cucciolo, e quella sera stessa prese appuntamento per iniziare. Non l’aveva mai fatto ma ora, ci doveva provare. Rovistò in camera sua, trovò una vecchia cesta dei giochi, qualche sciarpa, un vecchio maglione sgualcito; preparò la cesta come una culla, al cucciolo di cane piacque perché vi si addormentò subito… corse in cucina, in fondo ad uno scaffale recuperò una ciotola, vi mise del latte e qualche pezzo di pane, che portò subito al cane, il quale apprezzò molto, mangiò di gusto e presto si acciambellò di nuovo; non gli restava che uscire di corsa a comprare dei croccantini con gli ultimi soldi che gli aveva lasciato la nonna nel dopopranzo della scorsa domenica… se la fece a gambe levate, non voleva spazientire la madre ne trovare il cucciolo alle prese con qualche pasticcio in camera sua; comprò anche un collare, un guinzaglio e un osso giocattolo per i denti. Da quel giorno, una nuova scintilla albergava nei suoi occhi tristi, ora aveva uno scopo, qualcuno di cui occuparsi, che dipendeva totalmente da lui… e questa scintilla animò le sue giornate e pure i suoi pensieri che non erano poi più tanto tristi. Cominciò a studiare seriamente, ben presto venne definito il più bravo alunno del liceo scientifico della città. E non solo, cominciò a fare piccoli lavoretti: lavapiatti, lavascale, cameriere, anche per pochi spiccioli… lavorava e studiava… e intanto cresceva con amore tutti i cuccioli che trovava per strada; nel giro di qualche anno arrivò ad avere 4 cani e due gatti, le spese erano tante ma lui con i suoi sacrifici e con l’aiuto del veterinario di quartiere che l’aveva preso a ben volere, non faceva mai mancare cibo e cure alle sue creature. Il ragazzo ben presto diventò adulto, con chiare scelte e aspettative sul suo futuro. Diventò un ricercatore, uno studioso di alimenti zootecnici… nel suo campo si specializzò, a trent’anni aprì un negozio e a trentacinque aveva già il suo marchio di alimenti e la sua piccola azienda… e dire che tutto era nato da quella scintilla, da un cucciolo e da quando si era chiesto cosa ci fosse in una crocchetta di cibo mentre se la girava tra le dita. I cani e i gatti gli avevano cambiato la vita, il loro amore incondizionato aveva spinto con forza sull’acceleratore dei suoi sogni tanto da trasformare le sue angosce di ragazzo in chiare e concrete risposte. Se ti ci metti di muso buono, ed affronti la vita, facendo il tuo dovere, studiando e lavorando, credendoci con tutta la forza, prima o poi qualche risultato arriva. Com’era successo a lui, che adesso a quarant’anni, aveva l’amore di sua moglie, di suo figlio, dei suoi quattro cani, dei suoi tre gatti, e un’azienda agricola fuori città, con mucche, galline, produzione di alimenti per animali di alta qualità, ecc… ecc… questa è la storia di Diego e la scatola dei sogni!
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